5 luglio ’71 - Led Zeppelin in Italia


        Partimmo da Piacenza in mattinata, in autostop. Caldo pazzesco e sole cocente da inizio luglio in Pianura Padana. Una mezza dozzina di fricchettoni, divisi in gruppi di due. Non rammento chi fosse il mio compagno perché era molto frequente spostarsi in autostop. Ma di quel giorno ricordo un episodio bizzarro che vale la pena di essere citato.
    All’epoca si raggiungeva in qualche modo il casello di Piacenza Nord, che si superava a piedi, e una volta oltre la rampa ci si piazzava direttamente ai bordi della carreggiata, sperando che qualche auto si fermasse per caricarci. Una pratica incosciente e molto pericolosa, oggi severamente vietata… ma probabilmente proibita anche allora. Tuttavia, non passava più di mezz’ora prima che una macchina, o più facilmente un camion, ci raccogliesse. Se eri con una ragazza l’attesa era più breve, e per le coppie di due ragazze bastavano pochi secondi, tanto che spesso uno dei maschi si scambiava con una di loro, talvolta persino con turiste straniere incontrate sul momento, e ci si dava appuntamento in qualche luogo prestabilito.
      Chi arrivava prima aspettava gli altri. Una volta giunsi così fino alla Piazza Dam di Amsterdam, ma erano altri tempi e ora sto andando fuori tema. Non che le giovani hippy fossero facilmente abbordabili, ma l’abbigliamento, i capelli fluenti e le fasce attorno alla fronte creavano forse negli automobilisti una falsa idea di possibile conquista.
    Quella mattina non ero riuscito a formare una coppia mista, ma in ogni caso si fermò quasi subito un’utilitaria, credo una cinquecento, con due ragazzi più o meno della nostra età. Entro una settimana avrei compiuto ventun’anni, sicchè per le leggi di allora ero ancora ufficialmente minorenne.

    I due accettarono di darci uno strappo senza fare caso ai nostri effluvi di patchouli. Due ragazzi di buona famiglia, ma senza puzza sotto al naso, accento toscano e mentalità aperta come si usava negli anni ‘70 se non eri proprio un “reazionario”.

         “Che fate, ragazzi?”

         “Io studio architettura e suono la chitarra” e altri simili scambi di convenevoli.


          Uno dei due si chiamava Gaddo.

         “Gaddo cosa?”

         “Della Gherardesca.”

          E prima che io, fresco di liceo, potessi parlare di bocche sollevate da fieri pasti, mi spiegò di essere un discendente del Conte Ugolino. Non gli credetti, pensando al carattere scherzoso dei toscani, ma in ogni caso i due erano simpatici e ci scaricarono a Milano dalle parti di Corvetto. Per una quarantina d’anni quell’episodio rimase silenzioso nella mia memoria, finchè un giorno sentii parlare in tivù di un tizio con quel nome e della sua storia con Sarah Ferguson. L’età corrispondeva, e incuriosito feci qualche ricerca riuscendo a trovare la mail di un’associazione da lui presieduta. Così, scrissi per chiedere non già se si ricordasse di me bensì se da giovane avesse l’abitudine di dare passaggi a hippy squattrinati. Immaginavo che nessuno mi avrebbe risposto, ma l’indomani trovai una mail firmata da Gaddo, che ovviamente non ricordava l’episodio ma confermò che da ragazzo non disdegnava di aiutare qualche coetaneo incontrato per strada.

          Ma torniamo al concerto. Nel primo pomeriggio faccio un giretto in centro e in galleria vedo un capannello stretto attorno a un capellone biondo che ha tutta l’aria di essere Robert Plant, o comunque un suo sosia. Non lo saprò mai, perchè decido di portarmi in anticipo verso il Vigorelli, in modo da trovare un buon posto. Non ricordo come raggiunsi il velodromo. Forse a piedi, visti i chiari di luna di quei giorni, e già all’arrivo l’atmosfera era abbastanza greve. Camionette ovunque sotto il sole cocente e sfottò di qualche celerino verso i più capelluti di noi, tra i quali io mi distinguevo in particolare.

         “‘Stasera vi facciamo il culo…”

         Vabbè.

         Dopo un’oretta il gruppetto iniziale si ricompose per i soliti “rituali” pre-concerto… e da quel momento i miei ricordi sono sempre più confusi. Pertanto, sarei contento se altri amici presenti all’evento mi aiutassero a confermare i miei tanti “credo” e “mi sembra”. Per esempio mi sembra che i cancelli siano rimasti chiusi per un po’, con suoni di soundcheck a volume altissimo che arrivavano dall’interno. Quando i cancelli si aprirono entrammo alla rinfusa. Scelsi il prato anziché le gradinate perché volevo essere vicino al palco, ma le mie speranze di starmene tranquillamente seduto sull’erba in stile Woodstock furono annullate dalla marea che si accalcava velocemente nel velodromo e che ti spostava fisicamente da una parte all’altra del prato.
        Si arrivò comunque “in qualche modo” a sera, circondati da un brusio crescente sia dentro che fuori il velodromo, ed ebbe iniziò la serie degli “artisti” del Cantagiro, di cui però rammento molto poco e tutto molto male. Per esempio, ho un ricordo confuso del palco su cui si esibivano i cantanti di apertura. Ho davanti agli occhi una strana immagine di un palco secondario più piccolo, sul lato sinistro, vicinissimo alla mia posizione, mentre quando uscirono gli Zep aveo trovato posto su una panca a trenta/quaranta metri da loro, leggermente a sinistra rispetto al centro del palco. Chiedo conferma di questo dettaglio circa un possibile secondo palco, perché il mio ricordo potrebbe essere influenzato sia dalla situazione generale sia dal mio totale disinteresse verso quei cantanti. È anche possibile che la ressa mi abbia letteralmente spostato in senso fisico, e che ogni volta che alzavo gli occhi registrassi un’immagine diversa. C’erano comunque moltissimi fischi e lanci di oggetti vari, provocati forse più dal desiderio che i Led Zeppelin iniziassero subito piuttosto che dalla voglia di annientare dei poveracci che avevano la sola colpa di non avere nulla a che fare con il tipo di concerto che aspettavamo.
        L’abbinamento al Cantagiro non fu per nulla azzeccato, ma dettato solo da bieche ragioni economiche. Per quanto mi riguarda, non sono mai stato capace di fischiare, e se non lanciai nulla fu solo perché si stavano già facendo strada in me i primi concetti di “non violenza” e “amore universale”, il che tuttavia non mi impedì di urlare a gran voce il dissenso verso quel carrozzone raffazzonato. Rammento però che Morandi fu molto contestato, anche con lanci di ortaggi, ma di tutti gli altri non ho alcuna immagine in memoria, al di fuori dei New Trolls, salutati con grandi ovazioni dal pubblico, me compreso. Degli altri ricordo i nomi solo per averli letti negli anni successivi sulle locandine dell’evento. Lucia Dalla, Mauro Lusini, Mia Martini, Milva, Ricchi e Poveri, Vianella? Nulla. Vuoto assoluto, se non addirittura stupore. Possibile che li abbia completamente cancellati? Dov’ero quando si esibivano? Rammento solo i New Trolls, che forse furono gli ultimi, ma anche di questo chiedo conferma a chi ha ricordi più lucidi.

        E poi, finalmente, un po’ in anticipo rispetto al previsto, annunciati forse da Daniele Piombi, LORO! Un ruggito della folla e tonnellate di decibel che di più non si può. Le lacrime di emozione soffocate a stento all’attacco di Immigrant Song sono solo un’anticipazione di quelle ben più copiose che ci aspettano a breve. Bonham è un’iradiddio, Page lo sovrasta a stento in quanto a volume, mentre di Paul Jones non ricordo nulla, ma sopra a tutto e a tutti esplode distorta la voce di Plant, echeggiando contro gli edifici circostanti. O almeno questo è quanto ricordo. Fuori la gente preme per entrare e molti riescono a filtrare dai cancelli. Sirene.
        La ressa aumenta. Perdo contatto con gli amici, ma chissenefrega. So che il secondo pezzo fu Heartbreaker, ma non ne ho nessun ricordo, mentre ho ancora ben stampata nella mente tutta l’esecuzione di Since I’ve been loving you. Del resto, chi poteva immaginare l’importanza storica di un evento che, seppur eccezionale, era solo uno dei tanti grandi concerti a cui in quel periodo avevamo la fortuna di poter assistere. Intanto, da fuori giungono urla, sirene, botti di lacrimogeni, ma nulla a cui in quei tempi uno studente di Architettura non fosse abbastanza abituato. Per cui, nessuna preoccupazione e avanti con l’ascolto. Tuttavia, un po’ di fumo comincia a scendere nel prato e attorno al palco, e i brani si interrompono più volte. Non mi rendo ancora conto della gravità del momento e penso che sia il vento a portare il gas all’interno dell’arena. Ma in realtà un paio di lacrimogeni sono già caduti nel Vigorelli. Un cancello cede sotto la pressione e la folla ondeggia paurosamente. Qualcuno prende il microfono e accusa i fascisti, indicando un gruppetto in fuga sull’ultima fila degli spalti. In effetti, lassù qualcuno corre ma forse solo per uscire in fretta, rendendosi conto di quanto sta per succedere.
        Un altro paio di brani, e quando Page attacca Whole Lotta Love scoppia l’inferno. Pubblico in delirio. Occhi che lacrimano per il gas e per l’emozione. Resisto a tutto, aspettando con ansia il momento del solo… ma il pezzo si interrompe a metà. Forse manca la corrente. Altri candelotti piovono dall’esterno, dove pare sia in corso un’autentica guerriglia urbana. Vedo i musicisti andarsene in fretta e gente salire sul palco. L’aria è irrespirabile. Sul prato succede di tutto, e quindi mi rifugio con tanti altri sulle gradinate per cercare ossigeno pulito. Metto la mia solita sciarpetta rossa attorno alla bocca e guardo il prato attraverso la nebbia dei lacrimogeni. E a questo punto i miei ricordi si sovrappongono con tanti altri racconti di quella sera sentiti negli anni, per cui in tutta onestà non sono certo di aver visto con i miei occhi gente che depredava strumenti e pezzi di batteria, anche se nella mia memoria ci sono proprio quelle immagini. Mi sembra di averle visto, ma chissà. Invece, ricordo benissimo che era praticamente impossibile lasciare il velodromo perché fuori la polizia aspettava con gli sfollagente in pugno e menava alla cieca. Ho trovato con non poca fatica il mio compagno di viaggio e per un tempo che sembrò interminabile siamo rimasti sulle gradinate, con la musica ancora nelle orecchie e le emozioni nella mente, ma tutt’altro che tranquilli e del tutto incerti sul da farsi.
        Alla fine scendemmo verso un cancello secondario e uscimmo cercando di non dare nell’occhio, ma fuori infuriava ancora l’inferno. Cariche e scontri peggio che alle manifestazioni. Gente che correva da ogni parte, urla assordanti. Inseguimenti, lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo e barricate di fortuna improvvisate alla meglio. Ci accucciammo dietro a una macchina in sosta in una via laterale, senza pensare che se fossimo stati visti dagli agenti avremmo dato adito ai peggiori sospetti e saremmo stati immediatamente presi a bastonate. Del resto, il nostro aspetto impediva di passare inosservati ed essere scambiati per due tranquilli passanti in giro da quelle parti. Per allontanarci dalla zona calda abbiamo convinto il conducente di un’auto a portarci in stazione, o almeno fuori da quell’inferno.
        Arrivammo a notte fonda, e nell’atrio della Centrale vedemmo molti altri ragazzi, reduci dalla stessa esperienza. Il primo treno utile partiva verso le cinque del mattino e così ci sistemammo sulla pensilina ad aspettarlo. Ma prima di lasciare Milano mi accadde un altro episodio bizzarro. Sotto una panchina vedo un portafogli. Lo raccolgo e lo porto immediatamente all’ufficio di Polizia Ferroviaria, dove il legittimo proprietario si era già recato e stava sporgendo denuncia. Notando il mio aspetto “pittoresco”, il tizio ci prova e mi accusa subito del furto, chiedendo conto di denaro che, a suo dire, è stato sottratto dal portafogli e sparando una cifra così improbabilmente alta che neppure l’agente in servizio gli crede e mi guarda facendo l’occhiolino con aria di compatimento. Io però mi incazzo e gliene dico quattro, aggiungendo che è una fortuna che non gli chieda una ricompensa per aver ritrovato i suoi documenti. Anche l’agente lo tratta in malo modo e gli riconsegna portafogli e documenti, dicendogli di andarsene in fretta. Questo mi riconcilia in parte con le forze dell’ordine, verso cui fino a quel momento ho avuto sentimenti non proprio benevoli. Durante il breve viaggio in treno verso Piacenza rivivo le emozioni della notte, senza immaginare minimamente quale portata avrebbe rivestito quell’evento nella storia della musica rock.


P.S. Qualche anno fa, cercando in rete immagini di quella serata storica mi sono riconosciuto in una foto scattata da un anonimo spettatore pochi istanti prima di essere costretto a lasciare la mia posizione sul prato e cercare ossigeno sulle gradinate.