Partimmo da Piacenza in mattinata, in autostop. Caldo
pazzesco e sole cocente da inizio luglio in Pianura
Padana. Una mezza dozzina di fricchettoni, divisi in
gruppi di due. Non rammento chi fosse il mio compagno
perché era molto frequente spostarsi in autostop. Ma di
quel giorno ricordo un episodio bizzarro che vale la
pena di essere citato.
All’epoca si raggiungeva in qualche
modo il casello di Piacenza Nord, che si superava a
piedi, e una volta oltre la rampa ci si piazzava
direttamente ai bordi della carreggiata, sperando che
qualche auto si fermasse per caricarci. Una pratica
incosciente e molto pericolosa, oggi severamente
vietata… ma probabilmente proibita anche allora.
Tuttavia, non passava più di mezz’ora prima che una
macchina, o più facilmente un camion, ci raccogliesse.
Se eri con una ragazza l’attesa era più breve, e per le
coppie di due ragazze bastavano pochi secondi, tanto che
spesso uno dei maschi si scambiava con una di loro,
talvolta persino con turiste straniere incontrate sul
momento, e ci si dava appuntamento in qualche luogo
prestabilito.
Chi arrivava prima aspettava
gli altri. Una volta giunsi così fino alla Piazza Dam di
Amsterdam, ma erano altri tempi e ora sto andando fuori
tema. Non che le giovani hippy fossero facilmente
abbordabili, ma l’abbigliamento, i capelli fluenti e le
fasce attorno alla fronte creavano forse negli
automobilisti una falsa idea di possibile conquista.
Quella mattina non ero riuscito a
formare una coppia mista, ma in ogni caso si fermò quasi
subito un’utilitaria, credo una cinquecento, con due
ragazzi più o meno della nostra età. Entro una settimana
avrei compiuto ventun’anni, sicchè per le leggi di
allora ero ancora ufficialmente minorenne.
I due accettarono di
darci uno strappo senza fare caso ai nostri effluvi di
patchouli. Due ragazzi di buona famiglia, ma senza puzza
sotto al naso, accento toscano e mentalità aperta come
si usava negli anni ‘70 se non eri proprio un
“reazionario”.
“Che fate, ragazzi?”
“Io studio architettura e suono la chitarra” e
altri simili scambi di convenevoli.
Uno dei due si chiamava Gaddo.
“Gaddo cosa?”
“Della Gherardesca.”
E prima che io, fresco di
liceo, potessi parlare di bocche sollevate da fieri
pasti, mi spiegò di essere un discendente del Conte
Ugolino. Non gli credetti, pensando al carattere
scherzoso dei toscani, ma in ogni caso i due erano
simpatici e ci scaricarono a Milano dalle parti di
Corvetto. Per una quarantina d’anni quell’episodio
rimase silenzioso nella mia memoria, finchè un giorno
sentii parlare in tivù di un tizio con quel nome e della
sua storia con Sarah Ferguson. L’età corrispondeva, e
incuriosito feci qualche ricerca riuscendo a trovare la
mail di un’associazione da lui presieduta. Così, scrissi
per chiedere non già se si ricordasse di me bensì se da
giovane avesse l’abitudine di dare passaggi a hippy
squattrinati. Immaginavo che nessuno mi avrebbe
risposto, ma l’indomani trovai una mail firmata da
Gaddo, che ovviamente non ricordava l’episodio ma
confermò che da ragazzo non disdegnava di aiutare
qualche coetaneo incontrato per strada.
Ma torniamo al concerto. Nel primo pomeriggio faccio un
giretto in centro e in galleria vedo un capannello
stretto attorno a un capellone biondo che ha tutta
l’aria di essere Robert Plant, o comunque un suo sosia.
Non lo saprò mai, perchè decido di portarmi in anticipo
verso il Vigorelli, in modo da trovare un buon posto.
Non ricordo come raggiunsi il velodromo. Forse a piedi,
visti i chiari di luna di quei giorni, e già all’arrivo
l’atmosfera era abbastanza greve. Camionette ovunque
sotto il sole cocente e sfottò di qualche celerino verso
i più capelluti di noi, tra i quali io mi distinguevo in
particolare.
“‘Stasera vi facciamo il culo…”
Vabbè.
Dopo un’oretta il gruppetto iniziale si ricompose per i
soliti “rituali” pre-concerto… e da quel momento i miei
ricordi sono sempre più confusi. Pertanto, sarei
contento se altri amici presenti all’evento mi
aiutassero a confermare i miei tanti “credo” e “mi
sembra”. Per esempio mi sembra che i cancelli siano
rimasti chiusi per un po’, con suoni di soundcheck a
volume altissimo che arrivavano dall’interno. Quando i
cancelli si aprirono entrammo alla rinfusa. Scelsi il
prato anziché le gradinate perché volevo essere vicino
al palco, ma le mie speranze di starmene tranquillamente
seduto sull’erba in stile Woodstock furono annullate
dalla marea che si accalcava velocemente nel velodromo e
che ti spostava fisicamente da una parte all’altra del
prato.
Si arrivò comunque
“in qualche modo” a sera, circondati da un brusio
crescente sia dentro che fuori il velodromo, ed ebbe
iniziò la serie degli “artisti” del Cantagiro, di cui
però rammento molto poco e tutto molto male. Per
esempio, ho un ricordo confuso del palco su cui si
esibivano i cantanti di apertura. Ho davanti agli occhi
una strana immagine di un palco secondario più piccolo,
sul lato sinistro, vicinissimo alla mia posizione,
mentre quando uscirono gli Zep aveo trovato posto su una
panca a trenta/quaranta metri da loro, leggermente a
sinistra rispetto al centro del palco. Chiedo conferma
di questo dettaglio circa un possibile secondo palco,
perché il mio ricordo potrebbe essere influenzato sia
dalla situazione generale sia dal mio totale
disinteresse verso quei cantanti. È anche possibile che
la ressa mi abbia letteralmente spostato in senso
fisico, e che ogni volta che alzavo gli occhi
registrassi un’immagine diversa. C’erano comunque
moltissimi fischi e lanci di oggetti vari, provocati
forse più dal desiderio che i Led Zeppelin iniziassero
subito piuttosto che dalla voglia di annientare dei
poveracci che avevano la sola colpa di non avere nulla a
che fare con il tipo di concerto che aspettavamo.
L’abbinamento al
Cantagiro non fu per nulla azzeccato, ma dettato solo da
bieche ragioni economiche. Per quanto mi riguarda, non
sono mai stato capace di fischiare, e se non lanciai
nulla fu solo perché si stavano già facendo strada in me
i primi concetti di “non violenza” e “amore universale”,
il che tuttavia non mi impedì di urlare a gran voce il
dissenso verso quel carrozzone raffazzonato. Rammento
però che Morandi fu molto contestato, anche con lanci di
ortaggi, ma di tutti gli altri non ho alcuna immagine in
memoria, al di fuori dei New Trolls, salutati con grandi
ovazioni dal pubblico, me compreso. Degli altri ricordo
i nomi solo per averli letti negli anni successivi sulle
locandine dell’evento. Lucia Dalla, Mauro Lusini, Mia
Martini, Milva, Ricchi e Poveri, Vianella? Nulla. Vuoto
assoluto, se non addirittura stupore. Possibile che li
abbia completamente cancellati? Dov’ero quando si
esibivano? Rammento solo i New Trolls, che forse furono
gli ultimi, ma anche di questo chiedo conferma a chi ha
ricordi più lucidi.
E
poi, finalmente, un po’ in anticipo rispetto al
previsto, annunciati forse da Daniele Piombi, LORO! Un
ruggito della folla e tonnellate di decibel che di più
non si può. Le lacrime di emozione soffocate a stento
all’attacco di Immigrant Song sono solo un’anticipazione
di quelle ben più copiose che ci aspettano a breve.
Bonham è un’iradiddio, Page lo sovrasta a stento in
quanto a volume, mentre di Paul Jones non ricordo nulla,
ma sopra a tutto e a tutti esplode distorta la voce di
Plant, echeggiando contro gli edifici circostanti. O
almeno questo è quanto ricordo. Fuori la gente preme per
entrare e molti riescono a filtrare dai cancelli.
Sirene.
La ressa aumenta.
Perdo contatto con gli amici, ma chissenefrega. So che
il secondo pezzo fu Heartbreaker, ma non ne ho nessun
ricordo, mentre ho ancora ben stampata nella mente tutta
l’esecuzione di Since I’ve been loving you. Del resto,
chi poteva immaginare l’importanza storica di un evento
che, seppur eccezionale, era solo uno dei tanti grandi
concerti a cui in quel periodo avevamo la fortuna di
poter assistere. Intanto, da fuori giungono urla,
sirene, botti di lacrimogeni, ma nulla a cui in quei
tempi uno studente di Architettura non fosse abbastanza
abituato. Per cui, nessuna preoccupazione e avanti con
l’ascolto. Tuttavia, un po’ di fumo comincia a scendere
nel prato e attorno al palco, e i brani si interrompono
più volte. Non mi rendo ancora conto della gravità del
momento e penso che sia il vento a portare il gas
all’interno dell’arena. Ma in realtà un paio di
lacrimogeni sono già caduti nel Vigorelli. Un cancello
cede sotto la pressione e la folla ondeggia
paurosamente. Qualcuno prende il microfono e accusa i
fascisti, indicando un gruppetto in fuga sull’ultima
fila degli spalti. In effetti, lassù qualcuno corre ma
forse solo per uscire in fretta, rendendosi conto di
quanto sta per succedere.
Un altro paio di
brani, e quando Page attacca Whole Lotta Love scoppia
l’inferno. Pubblico in delirio. Occhi che lacrimano per
il gas e per l’emozione. Resisto a tutto, aspettando con
ansia il momento del solo… ma il pezzo si interrompe a
metà. Forse manca la corrente. Altri candelotti piovono
dall’esterno, dove pare sia in corso un’autentica
guerriglia urbana. Vedo i musicisti andarsene in fretta
e gente salire sul palco. L’aria è irrespirabile. Sul
prato succede di tutto, e quindi mi rifugio con tanti
altri sulle gradinate per cercare ossigeno pulito. Metto
la mia solita sciarpetta rossa attorno alla bocca e
guardo il prato attraverso la nebbia dei lacrimogeni. E
a questo punto i miei ricordi si sovrappongono con tanti
altri racconti di quella sera sentiti negli anni, per
cui in tutta onestà non sono certo di aver visto con i
miei occhi gente che depredava strumenti e pezzi di
batteria, anche se nella mia memoria ci sono proprio
quelle immagini. Mi sembra di averle visto, ma chissà.
Invece, ricordo benissimo che era praticamente
impossibile lasciare il velodromo perché fuori la
polizia aspettava con gli sfollagente in pugno e menava
alla cieca. Ho trovato con non poca fatica il mio
compagno di viaggio e per un tempo che sembrò
interminabile siamo rimasti sulle gradinate, con la
musica ancora nelle orecchie e le emozioni nella mente,
ma tutt’altro che tranquilli e del tutto incerti sul da
farsi.
Alla fine
scendemmo verso un cancello secondario e uscimmo
cercando di non dare nell’occhio, ma fuori infuriava
ancora l’inferno. Cariche e scontri peggio che alle
manifestazioni. Gente che correva da ogni parte, urla
assordanti. Inseguimenti, lacrimogeni sparati ad altezza
d’uomo e barricate di fortuna improvvisate alla meglio.
Ci accucciammo dietro a una macchina in sosta in una via
laterale, senza pensare che se fossimo stati visti dagli
agenti avremmo dato adito ai peggiori sospetti e saremmo
stati immediatamente presi a bastonate. Del resto, il
nostro aspetto impediva di passare inosservati ed essere
scambiati per due tranquilli passanti in giro da quelle
parti. Per allontanarci dalla zona calda abbiamo
convinto il conducente di un’auto a portarci in
stazione, o almeno fuori da quell’inferno.
Arrivammo a notte
fonda, e nell’atrio della Centrale vedemmo molti altri
ragazzi, reduci dalla stessa esperienza. Il primo treno
utile partiva verso le cinque del mattino e così ci
sistemammo sulla pensilina ad aspettarlo. Ma prima di
lasciare Milano mi accadde un altro episodio bizzarro.
Sotto una panchina vedo un portafogli. Lo raccolgo e lo
porto immediatamente all’ufficio di Polizia Ferroviaria,
dove il legittimo proprietario si era già recato e stava
sporgendo denuncia. Notando il mio aspetto “pittoresco”,
il tizio ci prova e mi accusa subito del furto,
chiedendo conto di denaro che, a suo dire, è stato
sottratto dal portafogli e sparando una cifra così
improbabilmente alta che neppure l’agente in servizio
gli crede e mi guarda facendo l’occhiolino con aria di
compatimento. Io però mi incazzo e gliene dico quattro,
aggiungendo che è una fortuna che non gli chieda una
ricompensa per aver ritrovato i suoi documenti. Anche
l’agente lo tratta in malo modo e gli riconsegna
portafogli e documenti, dicendogli di andarsene in
fretta. Questo mi riconcilia in parte con le forze
dell’ordine, verso cui fino a quel momento ho avuto
sentimenti non proprio benevoli. Durante il breve
viaggio in treno verso Piacenza rivivo le emozioni della
notte, senza immaginare minimamente quale portata
avrebbe rivestito quell’evento nella storia della musica
rock.
P.S. Qualche anno fa, cercando in rete
immagini di quella serata storica mi sono riconosciuto
in una foto scattata da un anonimo spettatore pochi
istanti prima di essere costretto a lasciare la mia
posizione sul prato e cercare ossigeno sulle gradinate.