GIARDINI DI TUNISIA (1990)

Vaste isole verdi che affiorano tra la steppa desertica punteggiata di minuscoli cespugli tondeggianti e le sconfinate depressioni bianche di sale chiamate “chott”... così appaiono le oasi dello Djérid dal jet della Tunisair in rotta di avvicinamento all’aeroporto internazionale di Tozeur-Nefta. A terra, l’immagine oceanica è rafforzata dalla vastità dello spazio aperto e dallo spettacolo impressionante di un’improvvisa tempesta di sabbia. “È il gharbi, il vento dell’ovest”, dice in tono imperturbabile un anziano venditore ambulante di rose del deserto con il volto protetto dal barracano. “E quando si risveglia non soffia mai per meno di ventiquattro ore”. Sollevata dalle raffiche, la finissima polvere giallastra si increspa in lunghe “onde” alte mezzo metro che si inseguono velocemente in formazioni parallele, abbattendosi come sferze pungenti contro ogni ostacolo. Il risultato è una specie di affascinante nebbia vaporosa che vanifica ogni tentativo di fotografare questo singolare fenomeno della natura.

    Trascorse le previste ventiquattro ore, la caligine si è dissolta e il sole risplende accecante sulla “Gastilliya”, il vecchio nome di questa regione tunisina in prossimità del confine con l’Algeria. Piste e strade sono ancora irriconoscibili per il sottile strato di sabbia che le ricopre, ma entro poche ore sarà la Natura stessa, sotto forma di una brezza delicata, a porre rimedio all’inconveniente sgomberando i tracciati e consentendo di raggiungere la famosa “corbeille” (il cestino) di Nefta. Qui, 400.000 palme e alberi da frutta irrigati da oltre centocinquanta sorgenti convogliate in una rete di pozze e canali offrono un’immagine di lussureggiante fertilità per nulla turbata dall’aggressione del vento, del sole e del sale. Come nelle vicine oasi di Gafsa e di Tozeur, e in quella di Gabes sulla costa orientale del Mediterraneo, dalla parte opposta della regione, il prodotto principale delle piantagioni sono i gustosissimi “doigt de lumière”, i migliori datteri della Tunisia e forse dell’intero Maghreb.

Una strada costruita di recente sull’incerto percorso di una vecchia pista congiunge Tozeur a Kebili, rendendo relativamente agevole l’attraversamento dello Chott El Djérid. Nelle prime ore del pomeriggio, con la complicità del sole, del caldo e della lucentezza del sale, non è difficile provare l’esperienza del miraggio, ma le flotte di vele che appaiono di tanto in tanto all’orizzonte non sono un fenomeno di fatamorgana; si tratta in realtà di temerari che si cimentano sui “carri a vela”, una versione a ruote del windsurf in grado di sfrecciare sulla superficie solidificata del lago sfruttando l’energia del vento. Una forza motrice che qui non manca.

    Gabes, definita da André Gide “giardino di fiori e di api”, si affaccia sul mare ed è assediata sugli altri tre lati dal deserto. Rappresenta il punto di separazione tra le località turistiche del Mediterraneo e il grande sud tunisino dove berberi e beduini ancora rivolti al Sahara vivono in villaggi trogloditici scavati nel tufo, come la lunare Matmata, o in antiche città in via di sviluppo come Médenine. I mercati settimanali di questi centri sono un pittoresco spaccato di una società fiera e tribale nei quali è ancora possibile immergersi in modo autentico.

Risalendo a nord di Gabes, oltre Sfax e l’antica roccaforte di Mahdia, si può abbandonare la bellezza del litorale ed eseguire una deviazione verso Kairouan, la quarta città santa del mondo islamico dopo la Mecca, la Medina e Gerusalemme. Per avere un’ idea della sua importanza è sufficiente ricordare che secondo la tradizione i musulmani che non sono in grado di ottemperare al precetto fondamentale di recarsi alla Mecca  almeno una volta nella vita possono riparare compiendo sette pellegrinaggi a Kairouan. Sono migliaia i fedeli provenienti da diversi paesi che passano ogni anno dal cortile dell’imponente Moschea di Oqba Ibn Nafiî, ma molti prediligono la piccola e bellissima zaouia di Sidi Sahan. È chiamata anche la Moschea del Barbiere, perché contiene le spoglie mortali di un compagno di Maometto che soleva portare sempre con sé tre peli della barba del profeta.

    Nella vecchia città cinta di mura la medina travolge con il consueto vortice di gente, colori, suoni e odori, ma fortunatamente i commercianti di Kairouan preferiscono concludere affari “seri” con i pellegrini islamici e lasciano lo snervante gioco della contrattazione con il cliente straniero ai loro colleghi di località più prettamente turistiche, come Hammamet e Nabeul. E l’integralismo islamico? A tranquillizzare i più timorosi può bastare un episodio. Notte fonda nella medina di Tunisi, in pieno Ramadan. La folla è in festa da cinque ore nei vicoli illuminati a giorno. Tutti i negozi sono aperti e le bancarelle rivaleggiano nel diffondere al volume più assordante musica araba e preghiere.
    Entro nella bottega di un artigiano, scavalcando un gruppo di uomini che giocano a carte e fumano la sisha. Fa caldo e l’aria è satura dell’aroma dolciastro del tabacco al miele. Curiosando tra gli scaffali alzo lo sguardo e vedo un ingrandimento a colori 24x30 di Saddam Hussein in una bella cornice di legno intagliato. Sulla foto, una scritta in arabo: “Con Te nella Madre di Tutte le Battaglie!” Il proprietario mi nota e si fa largo tra i clienti, avvicinandosi velocemente. Afferra la cornice e sfila la foto da dietro il vetro. Panico. Poi un sorriso cordiale increspa il suo volto baffuto. “Italiano? Solo dieci dinari per te!”  Rasserenato, mi accordo per cinque e concludo la transazione. Uscendo, mi volto in tempo per sorprenderlo mentre incornicia soddisfatto un’altra foto del leader iracheno tolta da un pacco sotto il bancone.