Vaste
isole
verdi che affiorano tra la steppa
desertica punteggiata di minuscoli
cespugli tondeggianti e le sconfinate
depressioni bianche di sale chiamate
“chott”... così appaiono le oasi dello
Djérid dal jet della Tunisair in rotta
di avvicinamento all’aeroporto
internazionale di Tozeur-Nefta. A terra,
l’immagine oceanica è rafforzata dalla
vastità dello spazio aperto e dallo
spettacolo impressionante di un’improvvisa
tempesta di sabbia. “È il gharbi, il
vento dell’ovest”, dice in tono
imperturbabile un anziano venditore
ambulante
di rose del deserto con il volto protetto
dal barracano. “E quando si risveglia
non soffia mai per meno di ventiquattro
ore”. Sollevata dalle raffiche, la
finissima polvere giallastra si increspa
in lunghe “onde” alte mezzo metro che
si inseguono velocemente in formazioni
parallele, abbattendosi come sferze
pungenti contro ogni ostacolo. Il
risultato è una specie di affascinante
nebbia
vaporosa che vanifica ogni tentativo di
fotografare questo singolare fenomeno
della natura.
Trascorse
le previste ventiquattro ore, la caligine
si è dissolta e il sole risplende
accecante sulla “Gastilliya”, il vecchio
nome di questa regione tunisina in
prossimità del confine con l’Algeria.
Piste e strade sono ancora
irriconoscibili per il sottile strato di
sabbia che le ricopre, ma entro poche
ore sarà la Natura stessa, sotto forma di
una brezza delicata, a porre rimedio
all’inconveniente sgomberando i tracciati
e consentendo di raggiungere la
famosa “corbeille” (il cestino) di Nefta.
Qui, 400.000 palme e alberi da frutta
irrigati da oltre centocinquanta sorgenti
convogliate in una rete di pozze e
canali offrono un’immagine di
lussureggiante fertilità per nulla turbata
dall’aggressione del vento, del sole e del
sale. Come nelle vicine oasi di
Gafsa e di Tozeur, e in quella di Gabes
sulla costa orientale del Mediterraneo,
dalla parte opposta della regione, il
prodotto principale delle piantagioni
sono i gustosissimi “doigt de lumière”, i
migliori datteri della Tunisia e
forse dell’intero Maghreb.
Una
strada
costruita di recente sull’incerto percorso
di una vecchia pista
congiunge Tozeur a Kebili, rendendo
relativamente agevole l’attraversamento
dello Chott El Djérid. Nelle prime ore del
pomeriggio, con la complicità del
sole, del caldo e della lucentezza del
sale, non è difficile provare
l’esperienza del miraggio, ma le flotte di
vele che appaiono di tanto in tanto
all’orizzonte non sono un fenomeno di
fatamorgana; si tratta in realtà di
temerari che si cimentano sui “carri a
vela”, una versione a ruote del windsurf
in grado di sfrecciare sulla superficie
solidificata del lago sfruttando
l’energia del vento. Una forza motrice che
qui non manca.
Gabes,
definita da André Gide “giardino di fiori
e di api”, si affaccia sul mare ed è
assediata sugli altri tre lati dal
deserto. Rappresenta il punto di
separazione
tra le località turistiche del
Mediterraneo e il grande sud tunisino dove
berberi e beduini ancora rivolti al Sahara
vivono in villaggi trogloditici
scavati nel tufo, come la lunare Matmata,
o in antiche città in via di sviluppo
come Médenine. I mercati settimanali di
questi centri sono un pittoresco
spaccato di una società fiera e tribale
nei quali è ancora possibile immergersi
in modo autentico.
Risalendo
a
nord di Gabes, oltre Sfax e l’antica
roccaforte di Mahdia, si può abbandonare
la bellezza del litorale ed eseguire una
deviazione verso Kairouan, la quarta
città santa del mondo islamico dopo la
Mecca, la Medina e Gerusalemme. Per
avere un’ idea della sua importanza è
sufficiente ricordare che secondo la
tradizione i musulmani che non sono in
grado di ottemperare al precetto
fondamentale di recarsi alla Meccaalmeno una volta nella vita possono
riparare compiendo sette
pellegrinaggi a Kairouan. Sono migliaia i
fedeli provenienti da diversi paesi
che passano ogni anno dal cortile
dell’imponente Moschea di Oqba Ibn Nafiî,
ma
molti prediligono la piccola e bellissima
zaouia di Sidi Sahan. È chiamata
anche la Moschea del Barbiere, perché
contiene le spoglie mortali di un
compagno di Maometto che soleva portare
sempre con sé tre peli della barba del
profeta.
Nella
vecchia città cinta di mura la medina
travolge con il consueto vortice di
gente, colori, suoni e odori, ma
fortunatamente i commercianti di Kairouan
preferiscono
concludere affari “seri” con i pellegrini
islamici e lasciano lo snervante
gioco della contrattazione con il cliente
straniero ai loro colleghi di
località più prettamente turistiche, come
Hammamet e Nabeul. E l’integralismo
islamico? A tranquillizzare i più timorosi
può bastare un episodio. Notte fonda
nella medina di Tunisi, in pieno Ramadan.
La folla è in festa da cinque ore nei
vicoli illuminati a giorno. Tutti i negozi
sono aperti e le bancarelle
rivaleggiano nel diffondere al volume più
assordante musica araba e preghiere.
Entro nella bottega di
un artigiano, scavalcando un gruppo di
uomini che
giocano a carte e fumano la sisha. Fa
caldo e l’aria è satura dell’aroma
dolciastro del tabacco al miele.
Curiosando tra gli scaffali alzo lo
sguardo e
vedo un ingrandimento a colori 24x30 di
Saddam Hussein in una bella cornice di
legno intagliato. Sulla foto, una scritta
in arabo: “Con Te nella Madre di
Tutte le Battaglie!” Il proprietario mi
nota e si fa largo tra i clienti,
avvicinandosi velocemente. Afferra la
cornice e sfila la foto da dietro il
vetro. Panico. Poi un sorriso cordiale
increspa il suo volto baffuto.
“Italiano? Solo dieci dinari per te!”Rasserenato, mi accordo per cinque
e concludo la transazione. Uscendo,
mi volto in tempo per sorprenderlo mentre
incornicia soddisfatto un’altra foto
del leader iracheno tolta da un pacco
sotto il bancone.